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25 novembre 2018 - Liceo “Don Tonino Bello”, Copertino (LE)



La mia[1] narrazione parte da un’istantanea in aula: terzo anno, scuola superiore, studio della storia della letteratura italiana; nella convinzione che la letteratura non debba e non possa essere semplicemente relegata al ruolo di splendida Biancaneve addormentata in una teca cristallina, leggiamo in profondità, ricalchiamo, manipoliamo, smontiamo e rimontiamo testi per divenire lettori più competenti e per guardare, anche con incanto, le connessioni tra letteratura, vita, mondo[2].

Accade così di affrontare, in classe, lo studio di Guittone d’Arezzo e lavorare sull’aspetto della complessità della lingua e del lessico, sulla voluta ricerca di preziosismi e l’ostentazione di abilità tecnica. Il nostro testo di partenza è “Tuttor ch’eo dirò gioi’, gioiva cosa” e l’operazione culturale che attuiamo in classe è piuttosto semplice: dissezioniamo il testo nelle sue componenti aggettivali, vagliamo la sintassi ed estraiamo uno schema delle molteplici riprese di “gioia” e dei suoi derivati, in modo da poter lavorare ad una poesia rivoltata[3].

L’attività di laboratorio, pur con le sue peculiarità, si innesta in una routine già avviata: nelle settimane precedenti abbiamo già lavorato su alcune strategie di lettura in profondità[4]e sui calchi[5]per appropriarci di e familiarizzare con una poesia già linguisticamente distante, aprendola ad una comprensione più profonda e a connessioni ampie.

I contorni lessicali delle diverse strategie di ribaltamento abbracciate dagli alunni dipingono un mondo tetro e cupo, dalla indefinibile e mesta tristezza di alcuni all’orribile e ributtante odio di altri; Guittone, studiato, compreso, rivoltato, entra stabilmente nella nostra enciclopedia condivisa e negozia e filtra continuamente significati diversi in un nuovo gioco, questa volta di allusioni e richiami alla realtà quotidiana in aula.

A distanza di alcuni giorni, un’alunna decide di partecipare ad un concorso letterario con la sua poesia rivoltata composta a partire dal testo guittoniano.

Questo, sappiate, è il vero inizio della mia metacognizione; fin qui, solo antefatti.

Il rigurgito della didattica trasmissiva e di puro modellamento[6]è sempre in agguato, un infestante ingombro nell’attività: letto un testo, o persino mentre ancora è in lettura, l’intervento naturale è correttivo, sostitutivo, migliorativo (ai miei occhi); la penna rossa è già in mano per “piegare” le parole proposte ai miei gusti ed alle mie modalità espositive. “Correggere” questo modus emendandi, come docente, richiede un costante richiamo alla realtà e alla riflessione sul nostro operato: sostituirmi allo scrivente non regalerà certo nuove abilità né consoliderà competenze; meglio affiancare nella ricerca di una soluzione che sia originale e propria, guidando tra le difficoltà, suggerendo piuttosto che imponendo, negoziando piuttosto che trasmettendo… in altre parole, tra correzione e consulenza, scelgo la consulenza.

“The writing conference is an essential part of the workshop and I’m an enthusistic proponent. A chance to work one-to-one with young writers on writing they have chosen to write about? Heck, yeah! […] The phrase writing conferencemay sound overly formal, but it’s really no more than an ongoing conversation”[7]

La consulenza è un caposaldo del WRW[8], imprescindibile veicolo sia di personalizzazione sia di individualizzazione degli apprendimenti, esperienza vicina al microteaching[9], opportunità di insegnamento autentico… e nello stesso tempo è una realtà complessa, difficile da inserire nella routine in classe, dai tempi e dalle modalità estremamente variabili[10].

Questo è il breve diario di una consulenza (o, se preferiamo, di un percorso di consulenze poiché una consulenza s’inanella su un’altra lungo tutto un processo di scrittura e termina solo, necessariamente, con la consegna finale).

Il tratto liminare della consulenza è l’avvio di un processo di consapevolezza: conoscere e interrogarsi sui motivi che hanno spinto alla stesura e sugli esiti che si attendono. La poesia sarà letta nel corso di una manifestazione indetta per il 25 novembre, giornata contro la violenza alle donne.

Scorro il testo; alla prima lettura, la poesia proposta si presenta artificiosa ed artefatta, il lessico ha alcune “punte” eccessivamente distanti dall’uso quotidiano e l’effetto che suscita nel lettore è più straniante che di intima partecipazione. Con la matita, traccio una mappa sul foglio per indicare punti e parole che penso sia opportuno riformulare e spiegando il perché di alcune osservazioni; avvio la prima consulenza.

Quanto dura una consulenza? Pochi minuti perché l’intento non è risolvere tutti i problemi legati alla scrittura; una parentesi breve, mirata, con un approccio didattico che valorizza i punti di forza: individuare il bello e ben fattodel testo e identificarlo, chiamandolo per nome, in modo che la denominazione corretta (figlia di un riconoscimento puntuale) diventi la chiave per appropriarsi in maniera duratura e consapevole di una tecnica, una fraseologia, una conoscenza, una competenza specifica.

La consulenza si fonda sulle ML? Non sempre e non necessariamente; è un po’ come orchestrare: si segue il ritmo ed il tempo, l’andamento stesso della conversazione ed, a volte, una ML è aiuto e sponda nell’intervento che si propone… a volte, il contesto, l’immediatezza e la peculiarità di ciò che si ha da dire renderebbe forzato e complesso il ricorso a quanto già detto in classe[11](a me, ad esempio, capita spesso di mettere a fuoco ML dopo le consulenze individuali, quando emergono con insistenza alcune richieste).

Dopo alcuni anni di WRW, dico con serenità che le consulenze individuali sono complesse: non offrire risposte, ma strumenti e strategie in me genera sempre borbottii interiori… che, in genere, culminano, dopo poche ore o a giorni di distanza, con una lista fittissima di strategie e strumenti estremamente più indicati che si disegnano chiaramente nella mia mente; mi consola la certezza che, comunque, nella quotidianità didattica il dialogo con gli alunni è costante e continuo e nulla vieta di ritornare su quanto già detto (la creazione di una routine non può tradursi in una divinizzazione della stessa: i tempi, per necessità imprevedibili e tipiche della scuola italiana, potrebbero costantemente subire assestamenti).

Alla prima consulenza, segue una nuova redazione. Alcuni spunti proposti sono stati accolti dalla giovane autrice, altri invece no[12]. In generale, la poesia ha ancora l’aspetto e l’impianto di un’operazione culturale costruita a tavolino: poca immediatezza, lingua molto “lavorata”.

Condivido, a questo proposito, alcune riflessioni: da tempo, con alcune colleghe, ragioniamo sull’impatto di consigli e ML sul processo e su quanto la quantità delle indicazioni “assorbite” possano incidere sulla valutazione complessiva… e su quanto migrare dalla quantità alla qualità vanifichi la trasparenza e l’equità della valutazione.

La valutazione è un nodo cruciale ed il banco di prova della sostenibilità, in ambito italiano, del WRW; nella costruzione di rubriche intorno al processo di scrittura, non vi nascondo che, per me, ancora non c’è una quadra (la mia rubrica ha un descrittore che rimanda al numero di ML a cui lo studente ha fatto ricorso, ma… come già dicevo, il numero di per sé non rileva la qualità dell’uso o la pertinenza).

Siamo alla seconda consulenza: l’attenzione è ora sui contenuti. Riguardiamo insieme il testo e ci rendiamo conto che la prospettiva adottata non è chiara: io leggo un “racconto” dal punto di vista femminile, nell’intento dell’alunna il punto di vista è quello maschile. Io ritengo che la prospettiva femminile regali empatia con la vittima, consenta di attingere ad una più ampia gamma di aggettivi e sentimenti. L’alunna ama, invece, assumere il punto di vista del carnefice, con una motivazione che è diretta conseguenza dell’attività svolta in classe: il nuovo componimento deve in modo evidente “rivoltare” il testo di partenza solo nel lessico, non deve intervenire a modificare altro. Nel giorno successivo, però, l’alunna cambia opinione: rivedrà il componimento, alternando le due prospettive, quella del carnefice e quella della vittima.

La soluzione proposta dall’allieva mi lascia perplessa: intervenire sulla complessità di un testo affiancandone un altro a sua volta elaborato e “prezioso” non mi sembra saggio né conveniente. Penso a quello che potrebbe essere un suggerimento per “alleggerire” la lettura e renderla più immediata; penso a quale punto di forza della giovane autrice far emergere con chiarezza perché possa “brillare” meglio… Siamo alla terza consulenza: “l’idea della contrapposizione uomo-donna è interessante; potrebbe prendere la forma di un calligramma… che intendo dire? Che i versi potrebbero essere disposti su un foglio in modo da comporre un’immagine, p.es. due profili contrapposti…”. L’alunna, infatti, fin dai precedenti anni scolastici, ha mostrato grande creatività ed una bella attitudine alle arti; questa volta l’indicazione, congruente il suggerimento, è stato subito accolto con entusiasmo.

La negoziazione sull’elemento visivo è la quarta consulenza: le parole potrebbero “grondare” da una ferita di lei o da un’arma, potrebbe esserci un raccordo tra i due componimenti dato da un colore che espliciti la continuità/l’opposizione tra le due parti.

La stesura è terminata. Il testo definitivo è quello riportato in fotografia nella pagina iniziale, qui una sintesi visiva del processo.





È ciò che io mi sarei aspettata? No.

Corrisponde alla mia idea di “miglior testo possibile” rispetto alla consegna? No.

Sono soddisfatta del processo e del risultato? Sì. Tanto più che il testo che ho di fronte non mi ricorda me e non ha i miei toni, ma è una connessione viva con il mio mondo: il testo rappresenta l’autrice, delicata, forte, decisa, ben contornata davanti ai miei occhi.

Traccio un bilancio da prof: lo sfondo letterario è ancora lì, in quelle poesie rivoltate elaborate e “concettose”; la creatività e l’originalità sono state coltivate e son venute alla luce; il dialogo e l’interazione sono stati onesti e rispettosi; la connessione tra letteratura e vita è solida, quasi appariscente nel rosso fuoco di alcuni dettagli; i suggerimenti e gli stimoli hanno arricchito il bagaglio delle conoscenze.

Così, arrivata alla fine di questa narrazione, rifletto su alcuni aspetti significativi di questa esperienza: la consulenza obbliga a dismettere totalmente una didattica trasmissiva ed affidata alla replica esatta di cosa io mostro come lodevole, meritorio e bello, in favore di una negoziazione che si fonda sul patto implicito di assoluta assenza di una risposta predefinita come esatta; la consulenza obbliga a riflessioni e studi più approfonditi per irrobustire le basi pedagogiche di alcune azioni mirate, per riflettere sulla reale scalarità e replicabilità delle proposte e delle attività, per armonizzare metodi e modelli di oltreoceano con la realtà della scuola italiana; la consulenza educa ad un dialogo autentico con gli alunni; la consulenza chiede e merita tempo… e la routine nuovamente necessita di una rimodulazione e, rombante, frastuona contro l’argine strettissimo delle quattro ore per la materia, come un fiume che, carico di nuove acque, pretenda nuove vie in questo paesaggio italiano.


Prof.ssa Daniela Nuzzo

Liceo “Don Tonino Bello” - Copertino (LE)



 

Note

[1] Un vero e proprio mantra per il docente che si accosta al WRW è la metacognizione, routine riflessiva che esamina ogni aspetto: pianificazione progettata, attività proposte, nuovi significati a cui si è giunti attraverso la negoziazione con gli studenti; con la sua solita penna scanzonata e ottimista, R. Fletcher, ad esempio, chiude con queste parole il suo agile manualetto di supporto ai docenti “Remember that it’s not just a process for students - teaching writing is also a process for us. We’re in process: pre-teaching, rough drafting, reading the energy of the class, revising, tweaking… Give yourself permission to screw up once in a while. […] You’ll learn a ton along the way. Embrace the journey. And have fun!”, R. Fletcher, The writing teacher’s companion, Scholastic, p.165.

[2] Non solo superamento della lettura efferente (lettura finalizzata alla solo raccolta di informazioni su un determinato argomento), non solo lettura estetica (attenzione selettiva rivolta all’esperienza stessa della lettura e agli aspetti che colorano l’immaginazione) - cfr. L. Rosenblatt, The Reader, the Text, the Poem, SIU Press - ma profonda connessione tra laboratorio di lettura e di scrittura, secondo l’impostazione propria del metodo WRW.

[3] “Il gioco consiste nel rivoltare un testo, conservando la struttura ed il ritmo delle frasi, ma rovesciandone i significati. Il testo può essere rivoltato parola per parola; oppure se ne può fare liberamente la parodia” E. Zamponi, I draghi locopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole, Einaudi, p.71.

[4 ]Cfr. J. Serravallo, Reading strategies book, Heinemann.

[5] Cfr. G. Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi, p. 66 ss.

[6] Una certa prospettiva pedagogica, di stampo comportamentista, ritiene il condizionamento rispondente e il condizionamento operante processi attivi e paralleli che si alternano e si affiancano nella relazione apprendimento-insegnamento: l’apprendimento può essere condizionato dall’attività di insegnamento, programmando la didattica secondo obiettivi espliciti (cognitivi e comportamentali), calibrando i contenuti rispetto a standard prefissati, realizzando regolari azioni di valutazione (in itinere, finali) per la verifica sia dell’avvenuto apprendimento nel discente sia per il controllo della validità dell’insegnamento. L’insegnante esercita “il controllo” sulla classe, imponendo regole e modelli di comportamento, sostenuti da continue azioni “di rinforzo”; la pianificazione delle attività in classe passa attraverso una precisa sequenza di fasi, che vanno dall’esame delle conoscenze pregresse (i prerequisiti dello studente), all’individuazione degli obiettivi didattici, all’indicazione delle modalità attuative di un compito, ai processi di rinforzo, alle procedure valutative dei risultati conseguiti. Pensiamo, p. es., all'Istruzione Programmata di Skinner, un modello di apprendimento che disegna una progressione graduale attraverso tappe ordinate per livello di difficoltà. “Gli assunti teorici di base di questo modello d’istruzione trasmissivo-imitativo presuppongono un’implicita considerazione del soggetto come colui che non sa, o che non sa come fare, che vuole imparare ciò che deve imparare e, pertanto, deve essere messo in grado dall’insegnante di conoscere ciò che l’insegnante già conosce, perché raggiunga come obiettivo formativo, il suo stesso livello di preparazione, se solo gli viene mostrato come procedere in un determinato compito” E. Fraunfelder, F. Santoianni, Percorsi dell’apprendimento. Percorsi per l’insegnamento, Armando, p.50.

[7] R. Fletcher, cit. p.67.

[8] P. es. “In conferences about content and craft, I try to help writers see and name problems, attempt solutions, recognize successes, make planes, and develop a repertoire of strategies for drafting and revising toward literature” N. Atwell, In the middle, Heinemann, p.211; “Nel laboratorio di scrittura abbiamo uno strumento potentissimo che ci permette di accompagnare gli studenti-scrittori e traghettarli verso l’autonomia, la consapevolezza e la competenza nella scrittura. Si tratta delle consulenze individuali: momenti in cui l’insegnante si siede vicino a uno studente e dà il via a una conversazione sulla scrittura in corso” J. Poletti Riz, Scrittori si diventa, Erickson, p. 186.

[9] Nella formazione neoassunti, il microteachingprevede: l’insegnamento di un singolo concetto di contenuto; l’uso di un'abilità specifica di insegnamento; una breve durata; un piccolo numero di studenti. Semplificando molto, potremmo dire che il termine indica l'insegnare una piccola unità di contenuto a un piccolo numero di studenti in una piccola quantità di tempo ed utilizzando un'abilità specifica. Perché il processo sia rispondente alla definizione, il microteaching dove anche prevedere la reiterazione dell’esperienza e la riflessione, singola e di gruppo, intorno all’esperienza vissuta.

[10] “Sembra la cosa più semplice e naturale del mondo [la consulenza individuale] e da un certo punto di vista lo è, ma dall’altro è anche uno degli aspetti più difficili da gestire dell’intero laboratorio” J. Poletti Riz, cit., p. 186; “Remember that there’s no one way of conferring” R. Fletcher, cit. , p.68.

[11] L’idea della consulenza individuale come risposta diretta ad un’istanza precisa dello studente è, tra gli altri, in K. Ray Wood, The writing workshop, Urbana.

[12] “Prima di iniziare l’insegnamento vero e proprio, se non l’ha già fatto, l’insegnante offre un feedback critico allo studente sul suo lavoro. Poi passa alla fase pratica, in cui si serve, come avviene nelle minilezioni, di testi modello suoi o di autori della letteratura. Propone esempi e mostra a volte la tecnica, modellandola sul momento. Per finire, il docente invita lo studente ad applicare subito la strategia sulla sua scrittura: a differenza delle minilezioni, l’indicazione è prescrittiva perché mirata sulle esigenze immediate dello scrittore. Anzi, se possibile, l’insegnante effettuerà dopo qualche tempo un veloce controllo per verificare che l’alunno abbia effettivamente portato a termine quanto stabilito” così J. Poletti Riz (op.cit., p.188) descrivendo le fasi della consulenza secondo L. Calkins; questo, evidentemente, non è l’itinerario che seguo in una consulenza individuale: in me vince sia una certa ritrosia a cadere in un rigidismo stimolo-risposta, dal sapore pedagogico magari non esattamente gradevole, sia per la prassi documentale suggerita, per la quale riesco ad immaginare solo aggettivi simili a irrealistica(schede, testi, modulo di registrazione, taccuino, fotocopie, mentor texts, ML etc.). Al di là dell’importanza dei testi di riferimento, al di là dell’autorevolezza - parola che prediligo rispetto ad autorità - di alcune firme, ritengo che la “via italiana” del WRW debba essere investigata con estrema accuratezza, per non cadere nell’illusione di “importare” un metodo semplicemente replicando pratiche maturate in altri contesti o instaurando prassi oscillanti tra basi pedagogiche simili, ma non identiche o, addirittura, stridentemente in contrasto. Del resto, la reductio ad unum è già assente negli stessi teorizzatori del metodo d’oltreoceano: non solo per buon senso, Fletcher asserisce “You will have to find style/approach that fits your personality” op.cit. p.68.

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